sabato 27 ottobre 2007

QUESTI SONO I GRAVI INDIZI DI COLPEVOLEZZA

QUESTE SOTTOELENCATE SONO LE GRANDI ACCUSE , CONCORDANTI, PRECISE, LOGICHE, DISINTERESSATE DEI CHIAMANTI IN CORREITA' MANCIOLI E DE SCLAVIS NEI CONFRONTI DI ALLOCCA MASSIMO.

MANCIOLI AFFERMA: Alcuni giorni dopo la perquisizione , il De Sclavis mi consegnò un sacchetto contenente della sostanza stupefacente dal peso di gr. 75 circa e mi disse al momento della perquisizione aveva abilmente sottratto un sacchetto contenente gr. 150 di cocaina.

MANCIOLI AFFERMA: Inspiegabilmente il Mancioli cambia versione e dice che il sacchetto durante la perquisizione lo ha sottratto ALLOCCA MASSIMO, il quale 3 o 4 giorni dopo è venuto in comm.to e ha consegnato al De Sclavis 2 sacchetti da 75 gr. circa contenente della cocaina. In seguito il De sclavis consegna la parte al Mancioli.

DE SCLAVIS AFFERMA: Durante la perquisizione ALLOCCA MASSIMO ha sottratto un sacchetto di cocaina dal peso di 150 gr. e successivamente l'ALLOCCA MASSIMO è venuto in comm.to e ha lasciato al MANCIOLI 2 sacchetti contenenti 50 gr. di cocaina cadauno, il quale alcuni giorni dopo gli ha consegnato al DE SCALAVIS la sua parte.

Poichè non si sono riusciti a mettere d'accordo bene sia sulla sottrazione, sul peso e sulla consegna da parte di ALLOCCA MASSIMO, il cambio versioni diventa consuetudine, e durante il corso del tempo i 2 sodali MANCIOLI E DE SCLAVIS cambiano per 6 volte la versione dei fatti, mentre ALLOCCA MASSIMO dal primo giorno ad oggi dice sempre la stessa cosa e cioè la verità.

Per quanto rigurda il peso, ci pensa il P.M. durante un interrogatorio a metterli d'accordo, in quanto suggerisce al DE SCLAVIS il peso che ha dichiarato il MANCIOLI.

Per quanto riguarda a chi ALLOCCA MASSIMO avrebbe consegnato il sacchetto, non interessa a nessuno questa discordanza, in quanto il G.I.P. la definisce "VICENDA SECONDARIA".

Per quanto riguarda quale fosse il giorno preciso che ALLOCCA MASSIMO avrebbe consegnato questo fantomatico sacchetto, non viene fatta nessuna domanda da parte dei P.M.

Comunque sia, per queste assurde e inverosimili dichiarazioni, ALLOCCA MASSIMO è stato rinchiuso per 684 giorni e 12 ore in carcere (isolamento), e fino ad oggi 150 giorni di arresti domicialiari,.............e non finisce qui!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

venerdì 26 ottobre 2007

INEVITABILE UN ALTRO RIGETTO ED IL RINVIO A GIUDIZIO

SEZIONE DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI UFFICIO 5


Vista la richiesta avanzata nell'interesse di ALLOCCA MASSIMO detenuto presso la Casa Circondariale di Velletri volta ad ottenere la revoca o la modifica della misura in atto:
Visto il parere contrario espresso dal P.M.:

Ritenuto che permangono i gravi indizi di colpevolezza e ie esigenze cautelari ampiamente argonentati nell’ordinanza impositiva della misura. provvedimento questo le cui motivazione devono intendersi qui integralmente trascritte. Ritenuto che non emergono elementi nuovi idonei a confortare una diversa valutazione delle esigenze cautelari rispetto a quanto già formulato nei provvedimenti su citati.


NON ACCOGLIE L'ISTANZA.



QUALCUNO CHE LEGGE, PER CASO RIESCE A TROVARE I GRAVI INDIZI DI COLPEVOLEZZA E LE ESIGENZE CAUTELARI AMPIAMENTE ARGOMENTATE NELL'ORDINANZA IMPOSITIVA DELLA MISURA?

QUESTO GIUDICE AFFERMA CHE NON CI SONO ELEMENTI NUOVI.
LE INDAGINI VENGONO CHIUSE E NULLA EMERGE A CARICO DI ALLOCCA MASSIMO.
NELLE 1133 PAGINE DI INDAGINE EFFETTUATE DAL G.I.C.O. DELLA G.DI F. , IL NOME DI ALLOCCA MASSIMO """NON ESISTE """.

NELLE PIU' DI 10.000 TELEFONATE INTERCETTATE A TUTTI GLI INDAGATI, ALLOCCA MASSIMO A CARICO HA SOLO 2 TELEFONATE CON IL CUGINO " NON RILEVANTI".

MA COME SI PUO' ESSERE ASSOCIATI A QUALCUNO SENZA CONTATTI, SENZA PARTECIPAZIONI, SENZA CONOSCENZE, SENZA UN NULLA DI UN NULLA DI UN NULLA.

IL GIUDICE AFFERMA CHE NON CI SONO ELEMENTI NUOVI.

MA TUTTO QUESTO NON DOVREBBERO ESSERE ELEMENTI NUOVI??????
FORSE , SOLO SE USCIVA UN QUALCOSA DI DANNOSO A MIO CARICO, POTEVA ESSERE UN ELEMENTO NUOVO!!!!!!!!!!!!!!!

SOLO IL TEMPO E' GIA' DI PER SE UN ELEMENTO NUOVO.


LA GUERRA CONTRO I "" MULINI A VENTO "" CONTINUA..............................

RICHIESTA DI SCARCERAZIONE PRESENTATA AL G.U.P.

Udienza 18/04/2006
Memoria ex art. 121 c.p.p. e contestuale istanza per revoca/sostituzione
della misura
ILL.MO sig. giudice,
nel mese di luglio del 2005, nell’ambito di una scabrosa indagine già da tempo aperta dalla Procura della Repubblica di Roma a carico di numerosi soggetti in larga misura appartenenti al commissariato di P.S.- omississ, e già raggiunti da ordinanze di custodia cautelare in carcere, vemiva emessa dal Gip di Roma una ordinanza di custodia carceraria nei confronti di Allocca Massimo, appuntato della Guardia di Finanza in servizio presso il Comando Provinciale di Roma, a cui veniva addebitato il delitto associativo di cui ail’art. 416 c.p. finalizzato alla perpetrazione di un numero indeterminato di furti e rapine, il delitto associativo di cui all’art. 74 DPR 309/1990 finalizzato al compimento di reati in materia di sostanze stupefacenti, nonchè il delitto di cui all’art. 628 c.p. in relazione ad un episodio occorso nel novembre 2003
nell’ambito di una perquisizione domiciliare eseguita presso un garage in Roma.
Gli inquirenti procedevano all’arresto dell’Allocca Massimo (cugino dell'Allocca Aniello, indagato nello stesso procedimento) a cagione di una chiamata in correità effettuata dai poliziotti Mancioli Emiliano e De Sclavis Alessandro, entrambi appartenenti al prefato commissariato, i quali, nel corso di interrogatori e confessioni auto ed etero accusatorie, sostenevano in buona sostanza che:
1) - nel corso dell’atto investigativo svolto presso il garage in questione, l’Allocca, da loro conosciuto in commissariato quale cugino del collega Aniello a cui alcune volte era andato a rendere visita, aveva abilmente rinvenuto due pani di cocaina di circa I kg. ciascuno celati in una colonnina, nonchè una busta di carta contenente 150 grammi c.a. di sostanza;
2) - che i due pani erano stati regolarmente sottoposti a sequestro da parte dei poliziotti, mentre il sacchetto sarebbe stato illecitamente trattenuto dal finanziere, con evidente ed esplicita adesione da parte dei due agenti di P.S., per una prossima futura spartizione tra i tre;
3) — che l’Allocca, non ancora completate le formalità della perquisizione e protrattasi l’ora oltre i propri termini, si allontanava con il piccolo contenitore di carta per ricomparire qualche giorno dopo presso il commissariato ove consegnava ai due sodali la parte di loro spettanza.
Il Gip fondava l’emissione della ordinanza restrittiva unicamente sulla base di una ritenuta concordanza, credibilità, logicità e disinteresse delle affermazioni rese dai due dichiaranti.
L’Allocca, con ricorso ex art. 309 c.p.p., impugnava il provvedimento cautelare innanzi al Tribunale del Riesame, deducendo che:
a) - in ordine al delitto di cui all’art. 628 c.p. emergeva per tabulas la assoluta e gravissima discordanza delle affermazioni rese dai chiamanti, la loro marcata contraddittorietà interna, la più completa assenza di un riscontro esterno, la non complessiva credibilità del contenuto delle dichiarazioni che si manifestava incoerente sinanche sul più ristretto piano logico;
b) - in ordine al delitto associativo, nella doppia tipologia così come contestata, non si evidenziava alcun indizio o elemento, ancorchè minimo, che potesse portare alla figura dell’Allocca Massimo, e ciò non solo in termini di assenza di dichiarazioni sul punto da parte degli stessi due chiamanti, ma anche di assenza di elementi di riferimento portati, o portabili, alla persona del finanziere da parte di alcuno dei pur numerosissimi altri indagati.
Il tribunale “affrontata / ‘abduzione primaria in termini altamente probabilistici, circa la posizione ricoperta dal prevenuto all ‘interno della fenomenologia criminale scoperta, ovvero di ritenere affidabili i dati sensibili certi acquisiti, allo stato, al patrimonio cognitivo dell’indagine, alfine del successivo giudizio inferenziale relativo al dato ignoto asserito nell ‘articolata e complessa ipotesi” e “significato che la lettura cognitiva dei singoli enunciati portati dagli atti di indagine trasmessi e lo studio valutativo della loro intertestualità, secondo il metodo coordinativo-relazionale, convalidi il ragionamento dell ‘accusa [cfr.pag. 26]” con provvedimento del O5/8/2OO5 rigettava il ricorso confermando la gravata ordinanza.
Con memoria cx art. 121 c.p.p., depositata in cancelleria il 16/09/2005, il prevenuto evidenziava ulteriori e più gravi discrepanze rinvenute nelle dichiarazioni accusatorie dei due poliziotti (più grave tra le quali, quella contenuta nel memoriale dei Mancioli diretto al P.M nel quale egli racconta che “Alcuni giorni dopo l’arresto [del omississ, il perquisito] se non ricordo male il De Sclavis mi disse che durante la perquisizione aveva occultato un sacchetto con della sostanza stupe facente e me ne consegnò un involucro contenente a suo dire circa 70/80 granni”), ed insisteva - sottolineando al giudice della cautela la più totale carenza di indizi oggettivi e soggettivi a carico del finanziere in ordine ai contestati delitti associativi - nell’evidenziare che il mantenimento della ordinanza restrittiva a suo carico configurava - in ordine alla valutazione della sussistenza dei gravi indizi - distorsione marcata dei principi sanciti dal comma I bis dell’art. 273 c.p.p. in relazione alle disposizioni dei commi 3 e 4 dell’art. 192 deI codice di rito.
Inoltre, per quanto relativo alla ritenuta sussistenza delle esigenze di prevenzione, l’indagato rilevava come il pericolo di reiterazione del reato si appalesava del tutto teorico in quanto - medio tempore - l’indagato era stato raggiunto da provvedimento di sospensione dal servizio, e ciò comportava la concreta impossibilità di reiterare condotte che assumevano come presupposto proprio la appartenenza effettiva al servizio; mentre, per quanto relativo al pericolo di inquinamento probatorio, esso appariva ancora più astratto e teorico in relazione alla figura dell’Allocca Massimo per il quale non veniva indicato in ordinanza alcun concreto elemento sulle ragioni del predittato pericolo; la prefigurata esigenza appariva travolgere la posizione procedurale del finanziere semplicemente quale pedissequa estensione sul piano analogico delle esigenze prefigurate a carico di diversi altri indagati tutti gravati da pesanti e consistenti riferimenti indiziari.
All’esito dell’istanza il prevenuto chiedeva, anche in relazione non solo al tempo trascorso dalla addebitata commissione del fatto (quasi due anni) ma anche in relazione alla non secondaria circostanza della non emersione in corso di indagini nè di alcun ulteriore di riscontro interno (o esterno) alle sciagurate ed interessate accuse dei due dichiaranti, nè di altri nuovi fatti a suo carico, che la misura custodiale fosse revocata o che fosse graduata a norma dell’art. 275 c.p.p.
Il gip, con provvedimento del 20/09/2005, pur ammettendo che le contraddizioni del Mancioli trovavano “spiegazione nella già rilevata condotta processuale del Mancioli il quale nell ‘ammettere proprie ed altrui responsabilità ha più volte tentato di ridimensionare il proprio rito/o, mentre le dichiarazioni del De Sclavis hanno sempre trovato puntuale conferma” [e con che cosa, visto che le dichiarazioni trovavano unico riscontro interno attraverso il reciproco auto-accreditamento?}, sosteneva che il quadro indiziario a carico dell’indagato permaneva in ogni caso infausto in quanto le dichiarazioni accusatorie dei correi dovevano comunque ritenersi precise, disinteressate e concordanti.
Rigettava, pertanto, la formulata richiesta di revoca anche sull’ ulteriore rilievo secondo il quale comunque le previe esigenze cautelari rimanevano tutte permanenti e che la custodia in carcere appariva l’unica “misura idonea ad evitare comunicazioni tra / ‘indagato e gli altri associati per / ‘inquinamento delle prove o per la reiterazione dei reati”.
L’indagato proponeva tempestivo appello ex art. 310 deducendo che:
I) — l’ordinanza repulsiva della richiesta di revoca aveva del tutto ignorato le argomentazioni e gli specifici riferimenti addotti dalla difesa a sostegno dell’istanza, essendosi di fatto limitata a riproporre lo stesso schema argomentativo centrato sulla apprezzabile concordanza delle versioni dei due chiamanti e, dunque, sulla piena sussistenza della gravità degli indizi a carico dell’Allocca;
2) — l’ordinanza stessa manifestava punti essenziali e manifesti di errore in cui era incorso il giudicante;
3) - l’ordinanza si mostrava carente di motivazione relativamente alla mancata valutazione in ordine alla concessione della più proporzionata misura della custodia cautelare domiciliare.
Il Tribunale, formato nella medesima composizione con la quale si era pronunziato in sede di reclamo, rigettava l’appello sulla base delle seguenti tre circostanze:
a) — che il Tribunale stesso si era già pronunziato sulla materia con ordinanza confermativa dell’originario titolo custodiale e che contro tale decisione era stato interposto ricorso per cassazione e che - dunque - il procedimento de libertate era ancora sub judice;
b) - che in ogni caso il giudicato cautelare interno avrebbe già fondato una preclusione di irrevocabilità della pronuncia nel merito in assenza di elementi sopravvenuti
e) — che ai fini del comma I dell’art. 299 c.p.p. la situazione storico-cautelare preesistente, conosciuta e valutata in sede impositiva ed in quella incidentale del riesame, era rimasta immutata.
Avverso la ordinanza repulsiva, l’indagato proponeva ricorso per Cassazione deducendo, fra i vari motivi, la manifesta illogicità della sentenza che fondava il suo deliberato sul duplice errore di fatto e di diritto laddove attribuiva alll’indagato la proposizione di un ricorso per cassazione mai da questi proposto e facendo da ciò discendere il fatto che l’originario procedimento attivato avverso l’ordinanza impositiva era ancora aperto e che, dunque, l’appello era di fatto improcedibile.
L’udienza in camera di consiglio è fissata per il giorno 05/05/2006.

Fatte salve nel merito tutte le deduzioni svolte nelle varie istanze e gravami pregressi, la difesa di Allocca Massimo, la quale sin d’ora annunzia che in sede di udienza preliminare formulerà richiesta di emissione del decreto che dispone il giudizio essendo la vicenda meritevole della cognizione piena delegata al Tribunale, avanza nuovamente - in questa sede - istanza di revoca della misura custodiale.
A distanza di nove mesi dall’applicazione della misura, ed ad indagini ormai concluse, è a rilevarsi che le ragioni per le quali il Massimo viene tenuto ristretto appaiono ancora più incomprensibili ed ingiuste.
Il quadro indiziario, rimasto appeso appeso a quelle sole, uniche e scellerate dichiarazioni dei due poliziotti infedeli, non ha subito alcuna progressione peggiorativa.
Al contrario; esso disvela implicitamente la totale insussistenza dei prefigurati delitti associativi a carico del giovane finanziere. Le pur serratissime indagini, le dichiarazioni confessorie finanche logorroiche di pressochè tutti i coindagati, nulla di aggiuntivo hanno portato a carico della posizione di Massimo Allocca; non una ulteriore chiamata in correità da parte dei pure numerosissimi coindagati che l’Allocca Massimo non conosce e che - a loro volta - loro non conoscono; non l’accertamento di episodi o fatti che possano indurre a ritenere effettivo e reale l’inserimento del Massimo nella societas scelerum; non traccia alcuna - neanche implicita - di un pactum sociale e di un programma delittuoso a cui ii finanziere avesse dato la propria previa o la propria successiva adesione.
Nulla. Assolutamente nulla!!!
A tutti i soggetti indagati si contestano pluralità di episodi criminosi, con vertiginosa capacità di rotazione e di intercambiabilità di ruoli; e, non ultima, con una costante e sempre pronta disponibilità all’agire.
L’Allocca rimane fermo ed inchiodato solamente all’episodio del garage, così come esso venne prontamente rappresentato agli inquirenti dalle bifide ed interessate parole dei suoi due ed unici accusatori. Nessun altro componente della criminale associazione riferisce di partecipazioni o interventi da parte del Massimo in nessuna delle folli imprese da costoro di volta in volta poste in essere. Nessun elemento, in tale direzione, è emerso nei confronti dell’appuntato di G.d.F. dalla corposa indagine preliminare.
La stessa circostanza della mancata partecipazione dell’Allocca Massimo, il giorno successivo, al furto ed alla spartizione dei dipinti rinvenuti nel garage, sottolinea ulteriormente ed arreca pregio alla posizione da sempre assunta dall’Allocca innanzi agli inquirenti in ordine alla sua partecipazione casuale e non criminosa all’atto investigativo organizzato dagli appartenenti al commissariato di Roma.
Ma se anche — per ipotesi - fosse vero ciò che i due dichiaranti hanno riferito a carico dell’Allocca, considerato che l’unico episodio portato in contestazione reca la data del lontano novembre 2003, dove risiederebbe la strutturale e funzionale appartenenza del finanziere alla scellerata aggregazione delinquenziale dal momento che non avrebbe partecipato mai più - né prima, né dopo - ad alcun altra azione criminosa?
Per le ragioni tutte sopra esposte, si chiede che l’ill.mo giudice, rilevate le non più sussistenti ragioni di cautela, voglia revocare, dopo una carcerazione in isolamento di ben nove mesi, la imposta misura della custodia in carcere.
Ove diversamente ritenuto, e considerate fortemente affievolite quelle ragioni, sostituire la misura carceraria con quella domiciliare.
Con osservanza
ROMA, 12/04/2006
SENTENZA
sul ricorso proposto da ALLOCCA MASSIMO, nato a Roma il 19/2/1969, avverso l’ordinanza emessa ex art. 310 c.p.,p. in data 9/3/2005 dal Tribunale di Roma, udita nella odierna udienza in camera di consiglio la relazione svolta dal Presidente Dott.LIONELLO MARINI, udito il Procuratore Generale presso questa Corte, nella persona del Dott. GIUSEPPE FEBRARO,i1 quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.


MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ordinanza emessa il 25 novembre 2005 il Tribunale di Roma ha rigettato l’appello proposto a norma deII’art. 310 c.p.p. da Allocca Massimo avverso l’ordinanza 9 marzo 2005 dello stesso Tribunale, reiettiva della richiesta di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, affermando che, a fronte del giudicato cautelare formatosi in conseguenza dell’avvenuto rigetto, con ordinanza in data 5 agosto 2005 del riesame proposto ex art. 309 c.p.p. dal predetto indagato avverso l’ordinanza emessa il 18 luglio 2005, applicativa nei confronti del medesimo della misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 416 c.p,le questioni dedotte con la successiva domanda di revoca o sostituzione della misura cautelare, oggetto dell’appello cautelare, erano le medesime che erano state già oggetto del suddetto provvedimento reiettivo, e precisamente quelle con le quali era stata dedotta la inattendibilità delle dichiarazioni rese da tali Mancioli e De Sclavis, essendo per il resto rimasta immutata, a mente dell’art. 299, comma 1, c.p.p., la situazione storico-cautelare preesistente, già valutata in sede di emissione dell’ordinanza impositiva della misura ed in sede incidentale di riesame.
Ricorre per cassazione l’Allocca deducendo i vizi di mancanza mancanza e di manifesta illogicità della motivazione.
Assume il ricorrente che, diversamente da quanto affermato nel provvedimento reiettivo dell’appello, non fu proposto ricorso per cassazione né avverso l’ordinanza impositiva della misura né avverso quella emessa dal Tribunale in sede di riesame, e contesta che le doglianze mosse con l’appello ex art. 310 c.p.p. siano le stesse che furono a suo tempo poste a sostegno della richiesta di riesame, essendosi invece le prime appuntate sui temi dell’ordinanza di rigetto della domanda di revoca o sostituzione nella quale era stata ignorata la “defedata” valenza indiziaria delle contraddittorie dichiarazioni dei due chiamanti in correità e la motivazione di puro stile resa sul punto, laddove il giudice aveva affermato che il contrasto tra le dichiarazioni dei due chiamanti in correità Mancioli e De Sclavis esisteva, ma verteva su una vicenda secondaria ed era dovuta alla ‘già rilevata”‘ condotta processuale del Mancioli”, il quale aveva “più volte tentato di ridimensionare il proprio ruolo”, senza che il suddetto giudice avesse dato contezza della dichiarazione manoscritta del Mancioli, antecedente la chiamata fatta con il De Sclavis, secondo cui ben altri (il De Sclavis, come da costui dettogli) aveva sottratto sostanza stupefacente. stupefacente.
Oggetto dell’ appello non erano, dunque i punti di merito già trattati in sede di scrutinio di riesame, ma il merito dell’ordinanza, motivata su considerazioni del tutto nuove e diverse da quelle poste a base dell’ordinanza genetica della misura, e soprattutto sulla palese omessa valutazione sui fatti nuovi dedotti dalla parte
In definitiva, il giudice dell’appello cautelare avrebbe dovuto pronunciare nel merito.
Il ricorrente chiede a questa Corte di dichiarare, previo annullamento dell’ordinanza impugnata, cessata o sostituita la misura.
Il rcorso è infondato.
Invero, è lo stesso ricorrente a dare atto dell’avvenuta formazione del giudicato cautelare laddove afferma dì non avere mai proposto ricorso per cassazìone né avverso l’ordinanza impositiva della misura cautelare né avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame.
E’ noto, infatti, che, a seguito delle pronunzie emesse, all’esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte di cassazione, ovvero dal Tribunale in sede di riesame avverso le ordinanze in tema di misure cautelari, si forma una preclusione di natura endoprocessuale, sia pur avente una portata più modesta rispetto a quella propria della res ludicata, sia perché operante soltanto allo stato degli atti, sia perché essa non copre anche le questioni deducibili,ma unicamente le questioni dedotte,implicitamente od esplicitamente, nei pregressi procedimenti di ìmpugnazione,intendendosi queste ultime come le questioni che, quantunque non enunciate in modo specifico, integrano il presupposto logico di quelle espressamente dedotte (Cass. Sezioni Unite 8-7-1994,n. 28437, Buffa; Cass. Sez. I , 11-3-1999, n. 2093, P.M. n proc. Pipitone; Cas.Sez.IV 27-4-2000, n. 2604, Siciliani)
E’ noto, altresì, che anche nel giudizio di appello del processus Iibertatis disciplinato dalI’art. 310 c.p.p., trova applicazione il generalissimo principio del ne bis in dem, cosicché neppure
tramite lo strumentale ricorso aH’istituto della revoca, previsto dall’art. 299 dello stesso codice, possono riproporsi le medesime deduzioni avverso il provvedimento di custodia cautelare già rigettate in sede di riesame, senza elementi di novità che possano giustificare il superamento di quella preclusione (Cass. Sez. IV, 31-3-1999, n. 1013, Adduci), ed al riguardo va osservato che il giudice dell’appello ex art.310c.p.p., richiamato il giudicato cautelare formatosi, non ha mancato di sottolineare che la situazione “storico-cautelare” risultava invariata.
Trattasi di una valutazione di merito, così come di merito sono le doglianze del ricorrente concernenti la valutazione delle dichiarazioni manoscritte del Mencioli, sicché l’impugnata ordinanza appare immune dai denunciati vizi, non presentando connotazioni di illogicità, atteso che la motivazione resa supera decisivamente quella del provvedimento reiettivo della istanza di revoca oggetto dell’appello cautelare, a nulla valendo, di conseguenza, l’affermazione del ricorrente circa l’essere state oggetto dell’appello medesimo le argomentazioni svolte in detta ordinanza, n un contesto di riproposizione della medesima “questione” di assenta inattendibilità delle dichiarazioni di chiamanti in correità, senza una effettiva prospettazione di un quid novi tale da comportare la revoca o la sostituzione della misura adottata con l’ordinanza custodiale del 18 luglio 2005 emessa nei confronti dell’odierno ricorrente Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria di questa Corte provvederà all’adempimento di cui all’art 94, comma 1-ter delle
Disposizioni di attuazione del codice di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore
dell’istituto Penitenziario di competenza perché provveda a quanto stabilito nell’art. 23, comma i
bis Legge 8-8-1995 n. 332.
Così deciso in camera di consiglio, in Roma, il 4 maggio 2006.

RICORSO PER CASSAZIONE

MOTIVI

Manifesta illogicità della motivazione rilevabile dal testo del provvedimento; mancanza di motivazione.
La gravata ordinanza poggia il primo dei due architravi logici sul presupposto secondo il quale, avendo il Tribunale del riesame già precedentemente valutato in senso confermativo l’originario titolo custodiale e che avverso detto provvedimento [asseritamene] “pende tutt’ora ricorso per cassazione” e che, pertanto, “il procedimento de libertate vertente sull’originaria ordinanza ablatoria è,tutt'ora aperto”, dunque 1’ appello andava rigettato.
Sicchè tale presupposto è del tutto erroneo e, come tale, illegittimo in quanto il ricorrente non ha mai proposto ricorso per cassazione né avverso l’originaria ordinanza impositiva, nè avverso l’ordinanza camerale del riesame n. 1241/05. Non si comprende, quindi, come il Tribunale possa aver posto come fondamento logico alla propria decisione di rigetto un tale erroneo presupposto che è del tutto inesistente, alterando così in radice il complessivo iter ragionativo che esso Tribunale pone alla base della pronuncia reiettiva.
Sotto tale profilo, dunque, del tutto irreparabilmente viziata sul piano logico-giuridico-motivazionale si apppalesa l’ordinanza gravata e per tale ragione se ne chiede l’annullamento.
La stessa ordinanza - ed è questo il secondo presupposto erroneo su cui si fonda il provvedimento impugnato - si dilunga ad illustrare, sul piano del diritto, come le doglianze espresse dall’appellante siano già state rappresentate nella antecedente sede di riesame e che, non essendo frattanto intervenuti nuovi elementi, in sede di appello avrebbe dovuto operare — come è stata fatta operare - la preclusione del giudicato cautelare interno.
Anche tale secondo presupposto appare infondato in diritto e contraddittorio sul piano logico per i motivi che d’appresso si illustrano; sul punto l’ordinanza stessa appare corredata di motivazione meramente apparente, piuttosto che di motivazione sostanziale.
In realtà le doglianze d’ appello si appuntavano unicamente avverso i temi dell’ordinanza reiettiva della istanza di revocaJsostituzione della misura che era stata proposta in data 12/09/05, e con la quale il giudice della cautela, del tutto ignorando le argomentazioni diverse (rispetto a quelle poste alla base di motivi del riesame) e gli oggettivi riferimenti ivi dedotti dalla difesa inerenti principalmente la defedata valenza indiziaria delle dichiarazioni dei due chiamanti in correità - insanabilmente contraddittorie e discrepanti sotto tutti i punti delle rispettive narrazioni - aveva rigettato l’istanza medesima con motivazioni di puro stile e - comunque - non attinenti nel merito alle deduzioni ed alle osservazioni nuove frattanto intervenute e proposte.
Anzi, è a dirsi che il Gip - verosimilmente percepita dall’articolato delle osservazioni difensive la improvvisa caducità dell’iniziale accreditato riscontro interno affidato alle dichiarazioni dei chiamanti - si affretta ad offrire una pronta stampella al proprio impianto logico arrivando ad ammettere che j il contrasto era rilevabile - ancorché riguardante la “secondaria (?) vicenda relativa alla consegna ai coindagati di parte della cocaina...” ma esso [contrasto] era dovuto alla “già rilevata [ma quando mai? in quale atto? in quale delle fasi del procedimento? non è dato punto sapere!!!] condotta processuale del Mancioli il quale nell ‘ammettere proprie ed altrui responsabilità ha più volte tentato di ridimensionare il proprio ruolo”.
E dove, la valutazione sulla importantissima (processualmente) dichiarazione manoscritta dal Mancioli agli atti del procedimento, ove costui, ben prima di effettuare l’interessata chiamata correità assieme al sodale De sclavis contro l’odierno ricorrente, riferisce spontaneamente al magistrato dell’indagine una ben diversa paternità circa l’azione sottrattivi dello stupefacente: “....11 De Sclavis mi disse che durante la perquisizione aveva occultato un sacchetto con la sostanza stupe facente, e me ne consej’nò un involucro...”?
Dove la valutazione del Gip prima, e del Tribunale dopo, ditale rilevante dichiarazione che contiene in sé rilevantissimi elementi di svalutazione circa la attendibilità della successiva chiamata in correità?
Perché non il Gip, né il Tribunale, ne danno ragione o contezza agli effetti del rigetto della richiesta di revoca della misura?
Oggetto dell’appello, dunque, non erano i motivi di merito eventualmente già trattati in sede di scrutinio di riesame come sostiene il Tribunale, ma - al contrario - il merito dell’ordinanza reiettiva che basava la propria motivazione su considerazioni del tutto nuove e diverse rispetto a quelle esaminate in sede di irrogazione della misura, ma sopratutto su palesi omissioni di valutazioni sui fatti nuovi dedotti dalla parte e ritenute, dall’allora appellante, palesemente ingiuste e passibili di gravame.
Il Tribunale del riesame, in sede di appello, avrebbe dovuto passare allo scrutinio la validità delle ragioni esposte nella ordinanza di rigetto del Gip del 2O/O9/OO5, tenuto conto delle numerose nuove e concrete deduzioni articolate nella sede di doglianza innanzì a sé devoluta.
Cosa, questa, del tutto negletta - o meglio - del tutto omessa.
Il Tribunale si è trincerato dietro la apparente (ed illogica) motivazione della intangibilità del giudicato endoprocessuale in circostanza di mancata (ma del tutto astratta e non corrispondente al caso di specie) sopravvenienza di elementi “nuovi” ; così - di fatto - abdicando alla necessità di valutare - liel merito - se le nuove prospettazioni e le nuove deduzioni pur ampiamente avanzate dalla parte a sostegno della
revocabilità o della riformabilità della ordinanza impugnata avessero fornito un effettivo spazio per giustificare il superamento della limitata preclusione del giudicato interno.
Quanto sopra rende il provvedimento del Tribunale cassabile sotto tutti i richiamati profili, ed in riforma dello stesso l’esposto difensore.
CHIEDE
che l’ecc.ma Corte adita, previa declaratoria di annullamento della gravata ordinanza, disponga la cessazione della misura custodiale carceraria
carico del ricorrente Allocca Massimo per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p.; oppure, ove gli stessi ritenuti comunque sussistenti ancorché di valenza degradata, disponga l’applicazione della più proporzionata misura custodiale domiciliare.
Roma, 07/01/2006

RIGETTO TRIBUNALE RIESAME

In merito al rigetto da parte del G.I.P. , presento ricorso presso il Tribunale del Riesame poichè le motivazioni del G.I.P. erano alquanto assurde e poco credibili.

Il Tribunale del Riesame non solo rigetta la mia istanza , ma la motiva in modo allucinante e di pura fantasia.

Motiva dicendo che poichè ALLOCCA MASSIMO ha già presentato ricorso per Cassazione il presente ricorso è da considerarsi nullo.

La data del rigetto porta il 25.11.2005.................

Il mio unico e solo ricorso per Cassazione porta la data del 07.01.2006 ed è stato fatto solo ed esclusivamente a causa di questa risposta di pura follia e fantasia da parte del Tribunale del riesame.

La farsa continua.

PRIMO RIGETTO

TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
UFFICIO 26
ORDINANZA
11 Giudice dr Guglielmo MUNTONI, vista l’istanza di revoca o sostituzione della misura della custodia in carcere con quella
degli arresti domiciliari avanzata dalla difesa di ALLOCCA MASSIMO; visto il parere del pubblico ministero contrario all’accoglimento dell’istanza; considerato, quanto alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, che le dichiarazioni
accusatorie a carico dell’ALLOCCA sono precise, disinteressate e concordanti e trovano riscontro riell’anomala e mai verbalizzata presenza dell’ALLOCCA nella importante operazioni di P.g. svolta nei confronti dei omissis ed altri e culminata con il sequestro di oltre tre chilogrammi di cocaina;
considerato che l’operazione è stata svolta grazie alle indicazioni forniti da un trafficante di droga, trafficante di droga e amico dell’ ALLOCCA Massimo come di ALLOCCA Aniello, e che l’operazione era finalizzata all’impossessamento della droga da parte dei ppuu. intervenuti per il successivo commercio, secondo varie ed articolate modalità, con ripartizione dei guadagni;
considerato che l’unica discordanza tra le varie versioni accusatorie si rinviene nella secondaria vicenda raccontata relativa alla consegna ai coindagati di parte della cocaina materialmente sottratta dall’ALLOCCA MASSIMO, contrasto che trova spiegazione nella già rilevata condotta processuale del MANCIOLI il quale nell’ammettere proprie ed altrui responsabilità ha più volte tentato di ridimensionare il proprio ruolo, mentre le dichiarazioni del DE SCLAVIS hanno sempre trovata puntuale conferma.
Considerato che permangono tutte le esigenze cautelari poste a fondamento della ordinanza cautelare e che la custodia in carcere appare l’unica misura idonea ad evitare comunicazioni tra l’indagato e gli altri associati per l’inquinamento delle prove o per la reiterazione dei reati.
• P,Q.M.
Rigetta l’istanza di revoca o sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari avanzata dalla difesa di ALLOCCA Massima
Roma 20 settembre 2005
li Giudice

L'ALLOCCA MASSIMO A PIU' DI 2 (DUE) ANNI DI DISTANZA CONTINUA A DOMANDARSI :

Ma se il Giudice dice che il Mancioli ha piu' volte tentato di ridimensionare il proprio ruolo e quindi non è piu' credibile, il De Sclavis con chi dovrebbe trovare puntuale conferma?????????

Che stupido, non ci ero arrivato, ma da solo trova puntuale conferma!!!!!!!!!!!!!!

Pero' c'e' anche da dire che il Sig. De Sclavis durante i suoi lunghi interrogatori, riesce anche a contraddirsi da solo. CHE SPETTACOLO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

P.S. Si precisa che l'ALLOCCA MASSIMO conosce solo di vista i due soggetti Mancioli e De Slavis, mentre il Natalizia lo conosce in quanto all'eta' di 15 anni i due lavoravano nello stesso ristorante. Dopodiche' tra i due non risultano telefonate intercettate, nelle migliaia di telefonate intercettate.
Durante le indagini sono state intercettate piu' di 10.000 telefonate tra tutti i coindagati. Le uniche 2 ( due) chiamate intercettate all'ALLOCCA MASSIMO sono con il cugino, dove non si dice nulla di rilevante. Nelle 1133 pagine, dove vi sono trascritte le indagini effettuate dal G.I.C.O.della G.di F. il nome di ALLOCCA MASSIMO non risulta da nessuna parte.