venerdì 26 ottobre 2007

RICHIESTA DI SCARCERAZIONE PRESENTATA AL G.U.P.

Udienza 18/04/2006
Memoria ex art. 121 c.p.p. e contestuale istanza per revoca/sostituzione
della misura
ILL.MO sig. giudice,
nel mese di luglio del 2005, nell’ambito di una scabrosa indagine già da tempo aperta dalla Procura della Repubblica di Roma a carico di numerosi soggetti in larga misura appartenenti al commissariato di P.S.- omississ, e già raggiunti da ordinanze di custodia cautelare in carcere, vemiva emessa dal Gip di Roma una ordinanza di custodia carceraria nei confronti di Allocca Massimo, appuntato della Guardia di Finanza in servizio presso il Comando Provinciale di Roma, a cui veniva addebitato il delitto associativo di cui ail’art. 416 c.p. finalizzato alla perpetrazione di un numero indeterminato di furti e rapine, il delitto associativo di cui all’art. 74 DPR 309/1990 finalizzato al compimento di reati in materia di sostanze stupefacenti, nonchè il delitto di cui all’art. 628 c.p. in relazione ad un episodio occorso nel novembre 2003
nell’ambito di una perquisizione domiciliare eseguita presso un garage in Roma.
Gli inquirenti procedevano all’arresto dell’Allocca Massimo (cugino dell'Allocca Aniello, indagato nello stesso procedimento) a cagione di una chiamata in correità effettuata dai poliziotti Mancioli Emiliano e De Sclavis Alessandro, entrambi appartenenti al prefato commissariato, i quali, nel corso di interrogatori e confessioni auto ed etero accusatorie, sostenevano in buona sostanza che:
1) - nel corso dell’atto investigativo svolto presso il garage in questione, l’Allocca, da loro conosciuto in commissariato quale cugino del collega Aniello a cui alcune volte era andato a rendere visita, aveva abilmente rinvenuto due pani di cocaina di circa I kg. ciascuno celati in una colonnina, nonchè una busta di carta contenente 150 grammi c.a. di sostanza;
2) - che i due pani erano stati regolarmente sottoposti a sequestro da parte dei poliziotti, mentre il sacchetto sarebbe stato illecitamente trattenuto dal finanziere, con evidente ed esplicita adesione da parte dei due agenti di P.S., per una prossima futura spartizione tra i tre;
3) — che l’Allocca, non ancora completate le formalità della perquisizione e protrattasi l’ora oltre i propri termini, si allontanava con il piccolo contenitore di carta per ricomparire qualche giorno dopo presso il commissariato ove consegnava ai due sodali la parte di loro spettanza.
Il Gip fondava l’emissione della ordinanza restrittiva unicamente sulla base di una ritenuta concordanza, credibilità, logicità e disinteresse delle affermazioni rese dai due dichiaranti.
L’Allocca, con ricorso ex art. 309 c.p.p., impugnava il provvedimento cautelare innanzi al Tribunale del Riesame, deducendo che:
a) - in ordine al delitto di cui all’art. 628 c.p. emergeva per tabulas la assoluta e gravissima discordanza delle affermazioni rese dai chiamanti, la loro marcata contraddittorietà interna, la più completa assenza di un riscontro esterno, la non complessiva credibilità del contenuto delle dichiarazioni che si manifestava incoerente sinanche sul più ristretto piano logico;
b) - in ordine al delitto associativo, nella doppia tipologia così come contestata, non si evidenziava alcun indizio o elemento, ancorchè minimo, che potesse portare alla figura dell’Allocca Massimo, e ciò non solo in termini di assenza di dichiarazioni sul punto da parte degli stessi due chiamanti, ma anche di assenza di elementi di riferimento portati, o portabili, alla persona del finanziere da parte di alcuno dei pur numerosissimi altri indagati.
Il tribunale “affrontata / ‘abduzione primaria in termini altamente probabilistici, circa la posizione ricoperta dal prevenuto all ‘interno della fenomenologia criminale scoperta, ovvero di ritenere affidabili i dati sensibili certi acquisiti, allo stato, al patrimonio cognitivo dell’indagine, alfine del successivo giudizio inferenziale relativo al dato ignoto asserito nell ‘articolata e complessa ipotesi” e “significato che la lettura cognitiva dei singoli enunciati portati dagli atti di indagine trasmessi e lo studio valutativo della loro intertestualità, secondo il metodo coordinativo-relazionale, convalidi il ragionamento dell ‘accusa [cfr.pag. 26]” con provvedimento del O5/8/2OO5 rigettava il ricorso confermando la gravata ordinanza.
Con memoria cx art. 121 c.p.p., depositata in cancelleria il 16/09/2005, il prevenuto evidenziava ulteriori e più gravi discrepanze rinvenute nelle dichiarazioni accusatorie dei due poliziotti (più grave tra le quali, quella contenuta nel memoriale dei Mancioli diretto al P.M nel quale egli racconta che “Alcuni giorni dopo l’arresto [del omississ, il perquisito] se non ricordo male il De Sclavis mi disse che durante la perquisizione aveva occultato un sacchetto con della sostanza stupe facente e me ne consegnò un involucro contenente a suo dire circa 70/80 granni”), ed insisteva - sottolineando al giudice della cautela la più totale carenza di indizi oggettivi e soggettivi a carico del finanziere in ordine ai contestati delitti associativi - nell’evidenziare che il mantenimento della ordinanza restrittiva a suo carico configurava - in ordine alla valutazione della sussistenza dei gravi indizi - distorsione marcata dei principi sanciti dal comma I bis dell’art. 273 c.p.p. in relazione alle disposizioni dei commi 3 e 4 dell’art. 192 deI codice di rito.
Inoltre, per quanto relativo alla ritenuta sussistenza delle esigenze di prevenzione, l’indagato rilevava come il pericolo di reiterazione del reato si appalesava del tutto teorico in quanto - medio tempore - l’indagato era stato raggiunto da provvedimento di sospensione dal servizio, e ciò comportava la concreta impossibilità di reiterare condotte che assumevano come presupposto proprio la appartenenza effettiva al servizio; mentre, per quanto relativo al pericolo di inquinamento probatorio, esso appariva ancora più astratto e teorico in relazione alla figura dell’Allocca Massimo per il quale non veniva indicato in ordinanza alcun concreto elemento sulle ragioni del predittato pericolo; la prefigurata esigenza appariva travolgere la posizione procedurale del finanziere semplicemente quale pedissequa estensione sul piano analogico delle esigenze prefigurate a carico di diversi altri indagati tutti gravati da pesanti e consistenti riferimenti indiziari.
All’esito dell’istanza il prevenuto chiedeva, anche in relazione non solo al tempo trascorso dalla addebitata commissione del fatto (quasi due anni) ma anche in relazione alla non secondaria circostanza della non emersione in corso di indagini nè di alcun ulteriore di riscontro interno (o esterno) alle sciagurate ed interessate accuse dei due dichiaranti, nè di altri nuovi fatti a suo carico, che la misura custodiale fosse revocata o che fosse graduata a norma dell’art. 275 c.p.p.
Il gip, con provvedimento del 20/09/2005, pur ammettendo che le contraddizioni del Mancioli trovavano “spiegazione nella già rilevata condotta processuale del Mancioli il quale nell ‘ammettere proprie ed altrui responsabilità ha più volte tentato di ridimensionare il proprio rito/o, mentre le dichiarazioni del De Sclavis hanno sempre trovato puntuale conferma” [e con che cosa, visto che le dichiarazioni trovavano unico riscontro interno attraverso il reciproco auto-accreditamento?}, sosteneva che il quadro indiziario a carico dell’indagato permaneva in ogni caso infausto in quanto le dichiarazioni accusatorie dei correi dovevano comunque ritenersi precise, disinteressate e concordanti.
Rigettava, pertanto, la formulata richiesta di revoca anche sull’ ulteriore rilievo secondo il quale comunque le previe esigenze cautelari rimanevano tutte permanenti e che la custodia in carcere appariva l’unica “misura idonea ad evitare comunicazioni tra / ‘indagato e gli altri associati per / ‘inquinamento delle prove o per la reiterazione dei reati”.
L’indagato proponeva tempestivo appello ex art. 310 deducendo che:
I) — l’ordinanza repulsiva della richiesta di revoca aveva del tutto ignorato le argomentazioni e gli specifici riferimenti addotti dalla difesa a sostegno dell’istanza, essendosi di fatto limitata a riproporre lo stesso schema argomentativo centrato sulla apprezzabile concordanza delle versioni dei due chiamanti e, dunque, sulla piena sussistenza della gravità degli indizi a carico dell’Allocca;
2) — l’ordinanza stessa manifestava punti essenziali e manifesti di errore in cui era incorso il giudicante;
3) - l’ordinanza si mostrava carente di motivazione relativamente alla mancata valutazione in ordine alla concessione della più proporzionata misura della custodia cautelare domiciliare.
Il Tribunale, formato nella medesima composizione con la quale si era pronunziato in sede di reclamo, rigettava l’appello sulla base delle seguenti tre circostanze:
a) — che il Tribunale stesso si era già pronunziato sulla materia con ordinanza confermativa dell’originario titolo custodiale e che contro tale decisione era stato interposto ricorso per cassazione e che - dunque - il procedimento de libertate era ancora sub judice;
b) - che in ogni caso il giudicato cautelare interno avrebbe già fondato una preclusione di irrevocabilità della pronuncia nel merito in assenza di elementi sopravvenuti
e) — che ai fini del comma I dell’art. 299 c.p.p. la situazione storico-cautelare preesistente, conosciuta e valutata in sede impositiva ed in quella incidentale del riesame, era rimasta immutata.
Avverso la ordinanza repulsiva, l’indagato proponeva ricorso per Cassazione deducendo, fra i vari motivi, la manifesta illogicità della sentenza che fondava il suo deliberato sul duplice errore di fatto e di diritto laddove attribuiva alll’indagato la proposizione di un ricorso per cassazione mai da questi proposto e facendo da ciò discendere il fatto che l’originario procedimento attivato avverso l’ordinanza impositiva era ancora aperto e che, dunque, l’appello era di fatto improcedibile.
L’udienza in camera di consiglio è fissata per il giorno 05/05/2006.

Fatte salve nel merito tutte le deduzioni svolte nelle varie istanze e gravami pregressi, la difesa di Allocca Massimo, la quale sin d’ora annunzia che in sede di udienza preliminare formulerà richiesta di emissione del decreto che dispone il giudizio essendo la vicenda meritevole della cognizione piena delegata al Tribunale, avanza nuovamente - in questa sede - istanza di revoca della misura custodiale.
A distanza di nove mesi dall’applicazione della misura, ed ad indagini ormai concluse, è a rilevarsi che le ragioni per le quali il Massimo viene tenuto ristretto appaiono ancora più incomprensibili ed ingiuste.
Il quadro indiziario, rimasto appeso appeso a quelle sole, uniche e scellerate dichiarazioni dei due poliziotti infedeli, non ha subito alcuna progressione peggiorativa.
Al contrario; esso disvela implicitamente la totale insussistenza dei prefigurati delitti associativi a carico del giovane finanziere. Le pur serratissime indagini, le dichiarazioni confessorie finanche logorroiche di pressochè tutti i coindagati, nulla di aggiuntivo hanno portato a carico della posizione di Massimo Allocca; non una ulteriore chiamata in correità da parte dei pure numerosissimi coindagati che l’Allocca Massimo non conosce e che - a loro volta - loro non conoscono; non l’accertamento di episodi o fatti che possano indurre a ritenere effettivo e reale l’inserimento del Massimo nella societas scelerum; non traccia alcuna - neanche implicita - di un pactum sociale e di un programma delittuoso a cui ii finanziere avesse dato la propria previa o la propria successiva adesione.
Nulla. Assolutamente nulla!!!
A tutti i soggetti indagati si contestano pluralità di episodi criminosi, con vertiginosa capacità di rotazione e di intercambiabilità di ruoli; e, non ultima, con una costante e sempre pronta disponibilità all’agire.
L’Allocca rimane fermo ed inchiodato solamente all’episodio del garage, così come esso venne prontamente rappresentato agli inquirenti dalle bifide ed interessate parole dei suoi due ed unici accusatori. Nessun altro componente della criminale associazione riferisce di partecipazioni o interventi da parte del Massimo in nessuna delle folli imprese da costoro di volta in volta poste in essere. Nessun elemento, in tale direzione, è emerso nei confronti dell’appuntato di G.d.F. dalla corposa indagine preliminare.
La stessa circostanza della mancata partecipazione dell’Allocca Massimo, il giorno successivo, al furto ed alla spartizione dei dipinti rinvenuti nel garage, sottolinea ulteriormente ed arreca pregio alla posizione da sempre assunta dall’Allocca innanzi agli inquirenti in ordine alla sua partecipazione casuale e non criminosa all’atto investigativo organizzato dagli appartenenti al commissariato di Roma.
Ma se anche — per ipotesi - fosse vero ciò che i due dichiaranti hanno riferito a carico dell’Allocca, considerato che l’unico episodio portato in contestazione reca la data del lontano novembre 2003, dove risiederebbe la strutturale e funzionale appartenenza del finanziere alla scellerata aggregazione delinquenziale dal momento che non avrebbe partecipato mai più - né prima, né dopo - ad alcun altra azione criminosa?
Per le ragioni tutte sopra esposte, si chiede che l’ill.mo giudice, rilevate le non più sussistenti ragioni di cautela, voglia revocare, dopo una carcerazione in isolamento di ben nove mesi, la imposta misura della custodia in carcere.
Ove diversamente ritenuto, e considerate fortemente affievolite quelle ragioni, sostituire la misura carceraria con quella domiciliare.
Con osservanza
ROMA, 12/04/2006

1 commento:

Maria ha detto...

Ma anche un bambino capirebbe che sei stato tirato dentro da due mascalzoni e che tu non c'entri per niente. Ma poi non stavi facendo un altro servizio a quell'epoca?